domenica 13 gennaio 2008

Amare Vignola continua su un nuovo sito!

Il blog Amare Vignola si è spostato. Vai al nuovo sito.
Andrea Paltrinieri

lunedì 31 dicembre 2007

Cosa significa "difendere" la famiglia?

In difesa della famiglia borghese. Questo il titolo (molto esplicito) dell'edizione italiana di un libro scritto nel 1983 da Peter Berger (uno dei maggiori sociologi USA) assieme alla moglie Brigitte (in realtà il titolo in lingua inglese suonava The war over the family, ma l'editore italiano non ha tradito le opinioni dei Berger adottando un titolo che in modo più esplicito "prende posizione"). Ancora oggi il tema della difesa della famiglia ricorre spesso nel dibattito pubblico e non solo da parte di esponenti della Chiesa (l'ultimo, in ordine di tempo, è il messaggio di Benedetto XVI all'Angelus del 30 dicembre 2007: "la Chiesa è impegnata a difendere e promuovere la dignità naturale e l'altissimo valore sacro del matrimonio e della famiglia"). Da tempo siamo consapevoli che anche la famiglia fa parte di quei "beni" che, come nel caso dell'ambiente, il processo di modernizzazione delle nostre società mette in pericolo. Il normale caos dell'amore (bellissimo libro di Ulrich Beck, anch'esso scritto assieme alla moglie, anche se di sensibilità politica opposta rispetto ai Berger) ricorda, ad esempio, che l'unità famigliare più funzionale rispetto alle esigenze del moderno mercato del lavoro è quella "unifamiliare", ovvero dei single, visto che, non avendo legami (né figli), essa consente di garantire il massimo di adattamento alle esigenze dell'impresa (turni, mobilità, flessibilità quando serve all'impresa, ecc.). Anche qui - e forse, soprattutto qui - la famiglia ha bisogno di essere difesa dalle pretese degli altri sottosistemi della società (in primis da quello economico). Ma il tema della difesa della famiglia, per quanto importante (dopo entrerò un po' in dettaglio), corre il rischio di lasciare in ombra un altro aspetto ugualmente importante che è quello dell'aiuto che alla famiglia occorre garantire affinché cambi, ed in particolare affinché cambi nella direzione di una maggiore eguaglianza od anche equità di trattamento ai suoi membri (ed in primo luogo ai membri della coppia). La famiglia, insomma, non è solo da difendere (in alcuni aspetti), ma è anche da aiutare ad evolvere (in altri). Non solo "conservazione" dell'esistente, insomma! E' chiaro che il riferimento è al lavoro (domestico), a quello professionale, ed alla conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita. In Italia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, le donne lavorano più degli uomini (se consideriamo tutte le attività lavorative, pagate e non, le italiane lavorano in media, al giorno, un'ora e un quarto più degli uomini). Lo fanno senza essere pagate, nella cura della casa e dei famigliari. E quando lavorano per un salario troppo spesso sono costrette, dalla mancanza di sussidi e servizi, a rinunciare ad avere figli (o ad averne in misura inferiore a quanto desiderato). Questa è una disuguaglianza inaccettabile e che richiede un più deciso intervento pubblico: un nuovo disegno di legge sui congedi parentali è stato approvato a fine 2007 dal Consiglio dei Ministri; servono più risorse per gli asili nido (ed in effetti il governo ha stanziato per la prima volta, sia nel 2007 che nel 2008, oltre 100 milioni di euro per gli asili nido); serve promuovere una cultura dei diritti delle donne nelle imprese oltre ad una cultura più egualitaria degli impegni nella coppia. Elementi per una riflessione su questi temi sono ampiamente disponibili. Io segnalo gli autori che collaborano a lavoce.info (tra cui Chiara Saraceno, sociologa, probabilmente il massimo esperto di politiche familiari in Italia).
Per tornare al tema della "difesa" della famiglia (un tema oggettivamente impegnativo anche per il Partito Democratico, stante le diverse sensibilità presenti al suo interno) io ritengo che vi siano alcuni punti fermi da cui partire. In primo luogo mi sembra ragionevole riconoscere come auspicabile che laddove una coppia si forma questa sia disposta ad affermare pubblicamente il vincolo di coppia con un rito, religioso o civile che sia. Possiamo concordare sul fatto che, dal punto di vista della società, un impegno "pubblico" è meglio? Che il formarsi di una coppia non è solo un fatto privato? Detto questo penso che vada riconosciuto come normale la variabilità dei percorsi tramite cui si arriva a ciò: in alcuni casi il percorso sarà quello tradizionale (ci si sposa, si va a convivere, si fanno figli), in altri sarà un percorso diverso (si convive, si fanno figli, ci si sposa), come avviene nell'Europa del Nord e centrale. In ogni caso trovare il modo affinché il momento dell'impegno pubblico sia "enfatizzato" mi sembra socialmente preferibile (e ciò può avvenire senza intaccare i diritti individuali). Per ora limitiamoci a questo (è poco?). Certo rimangono altri aspetti complessi qui non affrontati. Magari in un prossimo post ...

PS. Segnalo che proprio come gruppo consiliare DS abbiamo sollecitato l'amministrazione comunale a potenziare l'offerta per l'Asilo Nido, cosa che effettivamente è avvenuta a settembre 2007. Una maggiore dotazione di risorse, per 70.000 euro, ha infatti consentito di aumentare i posti disponibili nei tre asili nido vignolesi e di accogliere larga parte di coloro che erano risultati in lista d'attesa al momento delle iscrizioni. Proprio su questo impegno per i servizi per l'infanzia gli enti locali non vanno lasciati soli: occorrono risorse statali per coprire in parte i costi di gestione. Oggi un bambino all'asilo nido costa circa 7.000 euro all'anno, di cui 2.000 sono (mediamente) pagati dalla famiglia. E il resto? A carico del bilancio comunale.

venerdì 28 dicembre 2007

Più partecipazione dei cittadini al governo locale

Ancora negli anni '70 vi era un dibattito tra i sostenitori della democrazia diretta e quelli della democrazia rappresentativa: questo dibattito è terminato da tempo. Anche l'unico strumento della “democrazia diretta” previsto nel nostro ordinamento – il referendum abrogativo – non gode di buona salute (e per diversi motivi). Oggi l'obiettivo non è quello di "superare" la democrazia rappresentativa, bensì quello di “migliorarla”, ovvero di potenziare, sviluppare, innovare i canali di partecipazione dei cittadini alle decisioni del governo locale. Perché cercare di innovare le forme di partecipazione dei cittadini al governo locale? In primo luogo possiamo riconoscere la partecipazione come un valore – dunque più partecipazione c'è, meglio è. Si tratta di un'affermazione su cui riflettere, ma in questo post vorrei richiamare l'attenzione su altri argomenti. A favore di "più partecipazione" ci sono infatti anche argomenti attinenti al funzionamento del sistema politico ed in particolare all'efficacia dei processi decisionali. Si può così argomentare che processi decisionali allargati, inclusivi di una parte consistente degli attori toccati dalla decisione, alzano la probabilità di prendere decisioni "giuste" o "appropriate". Più una decisione è discussa, più c'è contraddittorio, meno è probabile che la decisione presa sia "sbagliata" (sia nel senso di non rappresentare adeguatamente l'interesse della più vasta collettività possibile, sia nel senso di non individuare correttamente i giusti mezzi per raggiungere il fine prefissato). Qui conta il confronto delle opinioni (diverse) - una cosa che andrebbe sempre stimolata, non certo osteggiata. Infine si può asserire che più una decisione è partecipata (ovvero più la discussione è articolata), più è probabile che il consenso che ne consegue sia un consenso “solido”, non effimero, ovvero basato sulle convinzioni che i partecipanti (tra cui anche l'amministrazione locale) si sono formati nel processo deliberativo (deliberare vuol dire assumere una decisione a seguito di discussione). Questo argomento – la solidità (dunque stabilità) delle convinzioni si lega ad un ulteriore argomento a favore della partecipazione (sempre dal punto di vista “funzionale”). Oggi si sperimenta sempre più una distanza dei cittadini dalla politica (molto bello il libro di Gerry Stoker, Why politics matters, Palgrave Macmillan, 2006), che non vuol dire affatto che l'atteggiamento prevalente sia di disincanto o di disgusto per la politica. Vuol dire anche, spesso, incapacità di comprendere la politica come sfera specializzata nel prendere decisioni per tutta la società, con i vincoli che le sono propri: prendere decisioni, spesso impegnative, garantendosi comunque un consenso sufficientemente ampio. Vuol dire incapacità di comprendere appieno il "lavoro" degli amministratori locali. Ampliare la partecipazione vuol dire allora rendere consapevoli un numero più ampio di cittadini del difficile lavoro della politica oggi, della difficoltà del compito di amministrare – e sperabilmente di bene amministrare – anche una medio-piccola realtà come Vignola. Meno il sistema politico si chiude in se stesso, più interagisce con i cittadini, più questa interazione contribuisce a formare cittadini consapevoli delle potenzialità (ed anche dei limiti) della politica.
Questo è dunque il tema: esistono forme efficaci di partecipazione, ovvero forme che possono aiutare l'amministrazione a prendere le giuste decisioni? La risposta non è banale, per diverse ragioni. Se ci guardiamo intorno, infatti, vediamo che molto spesso le forme più vitali di partecipazione sono quelle che si oppongono alle decisioni dell'ente locale (od all'inerzia dell'ente locale, come storicamente avvenuto sul tema della sicurezza). E' la partecipazione dei comitati di cittadini. Che però è una partecipazione reattiva. Può invece un'amministrazione locale costruire dei percorsi di partecipazione già integrati nei propri processi decisionali? E dunque che non reagiscano semplicemente a decisioni prese (o non prese)? Tra le diverse sperimentazioni, quella dell'Istruttoria pubblica (un percorso di coinvolgimento delle realtà associative locali nelle decisione dell'ente locale) mi è parsa particolarmente interessante, proprio perché integra la partecipazione di cittadini "competenti" e portatori di interessi collettivi nel processo decisionale. Per questo il gruppo consiliare DS, assieme agli altri gruppi consiliari di maggioranza, ha organizato il 12 novembre scorso un seminario sul tema dell'istruttoria pubblica e della democrazia deliberativa (con Vanna Minardi, già Vicesegretario generale e Direttore del settore Staff del Consiglio Comunale di Bologna e con Lorenzo Mosca, ricercatore all'Istituto Universitario Europeo di Fiesole). Chi è interessato agli atti può richiederli al mio indirizzo e-mail (andrea.paltrinieri@terredicastelli.it). Nel frattempo,nel Consiglio Comunale del 30 novembre scorso, abbiamo presentato ed approvato un ordine del giorno che impegna il Consiglio stesso a modificare lo Statuto Comunale introducendo, per l'appunto, l'istruttoria pubblica come strumento di partecipazione. E' solo un passo verso un governo "più partecipato" dell'ente locale. Ma intanto è un passo in avanti ...

venerdì 21 dicembre 2007

Come fare politica nella società della conoscenza

Sì, il titolo è decisamente astratto, ma il riferimento concreto è all'approvazione del Bilancio di previsione 2008 in Consiglio Comunale giovedì 20 dicembre 2007. Perché se chi fa l'amministratore non fa il possibile per sviluppare una visione oggettiva della propria attività e delle sfide che ha davanti si rischia di scadere assai presto - specie per chi siede in Consiglio Comunale - nella chiacchiera da bar. Allora tutto diventa facile, si trova sempre qualche dettaglio su cui imbastire una critica improduttiva, vige il principio della massima "irresponsabilità" (qualcuno si diverte a chi la spara più grossa). Come ho detto in Consiglio ieri sera, occorre diffidare sia di chi dice che va tutto bene, sia di chi ritiene che va tutto male, anzi malissimo (in una seduta di qualche mese fa al consigliere Ceci Leonardo non ho potuto non dire che mi sembrava un Candido - per fare riferimento al personaggio di Voltaire - alla rovescia: uno che è convinto che questo sia il peggiore dei mondi possibile e, soprattutto, che questa sia la peggiore delle amministrazioni possibili). Si è credibili quando si assume questo atteggiamento? Ritengo di no. E' invece certamente vero che aiuta ad innalzare la qualità del dibattito il poter contare su studi o analisi strategiche. In effetti la parola chiave della relazione introduttiva del Sindaco al bilancio 2008 è "strategia" o, meglio, "pensiero strategico". Lo studio di fattibilità per la STU (che sta per Società di Trasformazione Urbana) prima, il progetto dei "contratti di quartiere" (al cui bando Vignola è risultato il primo comune non finanziato in Emilia-Romagna - ma ci si confrontava con i "colossi", più politicamente che tecnicamente, dei capoluoghi di provincia) dopo, la realizzazione del nuovo PSC ora, sono tutti elementi di "pensiero strategico", ovvero di costruzione di scenari futuri e delineazione di obiettivi ed azioni che possono contribuire in modo significativo ad innalzare la qualità della città. Passando, inoltre, anche per il PUT (sta per Piano Urbano del Traffico), progettato da quell'Arch. Gandino che è considerato il massimo esperto in Italia di mobilità urbana (e che ha contribuito a disseminare gli incroci chiave vignolesi di rotatorie). Questa è conoscenza a servizio della politica. Certo, dopo agli amministratori spetta comunque il compito, anch'esso impegnativo, della realizzazione e di ottenere il consenso su queste visioni del futuro della città (cosa non facile: pensiamo al tema della raccolta differenziata). Ma è pensabile fare a meno del "pensiero strategico" e della "conoscenza" tecnico-professionale per amministrare nella "società della conoscenza"? Difficile pensare di rispondere sì. Ma questo richiede anche, a ciascun amministratore, una certa propensione allo "studio", una certa propensione "intellettuale". Se non è così il dibattito rimane mediocre e non si va da nessuna parte.

martedì 18 dicembre 2007

Governance socio-sanitaria: alla ricerca di buoni argomenti

Il 17 dicembre il Consiglio dell'Unione ha approvato la convenzione tra l'Unione Terre di Castelli e la Comunità Montana Modena Est per il governo e la gestione associata di funzioni sociali, sociosanitarie e sanitarie nel Distretto di Vignola. Questione molto tecnica, ma anche di grande rilievo per il buon funzionamento dei servizi sociali e sanitari del nostro distretto. Come spesso succede per le questioni "tecniche" il dibattito, sia in maggioranza che in consiglio, non è stato molto partecipato, anche se è stato comunque "vivace" visto che si sono confrontate due diverse visioni. Due visioni relative non certo alla soluzione adottata per il "nuovo" Comitato di Distretto - l'organo che prende le decisioni "politiche" sui servizi sanitari del distretto ed in cui siedono i Sindaci ed il Direttore di Distretto, più il Presidente dell'Unione e quello della Comunità Montana. Ugualmente importante (e condivisa) è l'istituzione dell'Ufficio di Piano in seno all'Unione (ma a servizio di tutto il Distretto, dunque anche della Comunità Montana). L'Ufficio di Piano è una struttura tecnica di supporto per le funzioni di programmazione. Perché è importante? Semplicemente per il fatto che senza un apparato tecnico che elabori i dati sui bisogni, sul gap tra bisogni ed offerta di servizi, su accessi e tempi di attesa, ecc. è difficile pensare che il governo della sanità e del sociale nel distretto possa essere razionale. Occorre dunque mettere i Sindaci ed il nuovo organo di governo nella condizione di prendere decisioni razionali, ad esempio sull'allocazione delle risorse (che sono "finite" per definizione: se le si impiega per potenziare i servizi per gli anziani non possono essere impiegate per i minori, se le si impiega per potenziare l'attività ospedaliera non possono essere impiegate per i servizi territoriali, e così via). Sino ad oggi gli organi di partecipazione degli Enti Locali al governo della sanità (CTSS, Comitato di Distretto) non hanno funzionato in modo soddisfacente, anche per il fatto che le soluzioni tecniche discusse erano elaborate solo dalla parte sanitaria. Con le nuove norme (es. il Piano Sociale e Sanitario 2008-2010) la Regione Emilia-Romagna sta cercando di realizzare un modello di governance più equilibrato tra aziende sanitarie ed Enti locali, dove si raggiunga un'integrazione vera. Per questo oltre agli organi di governance, sono stati reimpostati i processi di pianificazione: al posto di due piani distinti (uno per il sanitario: Piani per la salute, l'altro per il sociale: Piani di Zona per il sociale) vi sarà un unico piano integrato, il Piano di zona distrettuale per il benessere sociale e la salute. Fin qui gli aspetti assolutamente condivisibili e dunque condivisi. Dove stanno dunque le due diverse visioni? Non relativamente al fronte tra Ufficio di Piano e "sanitario" (i servizi dell'ASL), bensì su quello tra Ufficio di Piano e "sociale", dove "sociale", in questo distretto, sta essenzialmente per i servizi sociali confluiti nell'ASP (Azienda di Servizi Pubblica) G.Gasparini (ex-Coiss). La questione su cui si è accesa la discussione era la seguente: la costituzione dell'Ufficio di Piano (ufficio dell'Unione Terre di Castelli) deve anche servire per riportare alcune attività oggi gestite dall'ASP sotto l'Ufficio di Piano (e dunque sotto i Comuni), sottraendole all'ASP? Oppure occorre fare il possibile per valorizzare la presenza dell'ASP su questo territorio (un'esperienza praticamente unica in regione e che, anche per questo, ci è profondamente "invidiata")? Attenzione! L'ASP è un'azienda dei 9 comuni del distretto. Raccoglie l'eredità preziosa di una gestione associata di larga parte dei servizi sociali iniziata dal Coiss nel 1997. La discussione è stata questa. Per intenderci: il servizio di segreteria che accoglie ed accompagna l'anziano e la sua famiglia nell'accedere alla rete integrata dei servizi (assistenza domiciliare, centro diurno, casa protetta, ecc.) dove deve stare? Sotto l'Ufficio di Piano (Unione) o sotto l'ASP? E, guardando un po' avanti, la gestione dell'emergenza abitativa, del fondo per l'affitto e l'interfaccia con ACER per l'Edilizia Residenziale Pubblica, debbono stare sotto l'Ufficio di Piano o debbono essere portate nell'ASP? Si tratta di domande a cui non è facile rispondere, anche perché hanno evidenti implicazioni tecniche ed organizzative. Al fondo sta la domanda generale: qual é la migliore architettura organizzativa dei servizi sociali e socio-sanitari nel nostro distretto? E' importante cogliere la rilevanza di tale questione perché se vogliamo - e lo vogliamo - migliorare la performance dei nostri servizi sociali dobbiamo fornire loro il migliore assetto organizzativo (oltre a professionisti competenti). Questa è la posta in gioco di questa decisione (e discussione). Peccato che alcuni argomenti usati nel dibattito siano un po' naif. Ne cito uno solo. Non si può usare l'argomento di un supposto "conflitto di interessi" che affliggerebbe l'ASP in quanto contemporaneamente fungerebbe da "committente" (es. le assistenti sociali che definiscono il piano di intervento sul caso) e da "produttore di servizi" (es. gli altri operatori che intervengono sul caso). Questa è una lettura distorta che porta a dividere dei processi che hanno invece il loro punto di forza nell'essere unitari, ovvero nell'essere interni ad una sola organizzazione (l'ASP). Non si migliora di certo l'efficienza se alcune delle figure professionali coinvolte le si portano fuori dall'ASP, enfatizzando la loro funzione di committenti e "controllori" sull'operato dei "produttori del servizio". In ogni caso questa è ad oggi la mia opinione. Quella discussione che non è stato possibile fare appieno a causa dei tempi strettissimi di approvazione della delibera dovrà essere recuperata nel 2008. Forse potranno emergere argomenti convincenti che magari mi faranno cambiare opinione. Per questo è importante, ancor più in questa impegnativa decisione, andare alla ricerca di buoni argomenti! Ne va della qualità dei servizi sociali del nostro territorio!

martedì 11 dicembre 2007

Vignola: identità e trasformazioni

"Vignola: identità e trasformazioni": questo il titolo della relazione tenuta (lunedì 10 dicembre 2007) presso la Biblioteca Auris dagli architetti Giulio Orsini e Andrea Cavani, nell'ambito di un corso organizzato dall'Università della Libera Età N.Ginzburg (grazie all'intuizione ed all'impegno di Valter Cavedoni). Poco più di 20 i partecipanti. Molto interessanti gli "scenari" proposti: pedonalizzazione completa di Piazza Corso Italia (con l'unica eccezione del tratto tra Viale Trento Trieste e Via Muratori per immettersi sul ponte in direzione Bologna) ed apertura di percorsi di collegamento tra il vecchio Centro Storico e l'area verde circostante (zona Centro Nuoto), con recupero della veduta sul fiume (es. dal cortile di Palazzo Barozzi). Suggestioni interessanti ed anche affascinanti, anche se sulla fattibilità della modifica della viabilità occorre che si pronuncino gli esperti (io ho qualche dubbio in proposito). Non sono mancate le critiche ad alcune scelte dell'Amministrazione Comunale di Vignola, in primo luogo sul parcheggio interrato di Piazza Corso Italia (in realtà soprattutto sulla destinazione a parcheggio del piano di superficie). Penso che una risposta puntuale vada data a chi legge quell'intervento in modo del tutto negativo. Si può certo riconoscere che la destinazione a piazza (dunque luogo pubblico di ritrovo) risulta preferibile per ciascuno di noi. Però bisogna anche riconoscere che (1) da tempo quello spazio fungeva essenzialmente da parcheggio; (2) che il Centro Storico di Vignola necessitava da tempo (e necessita ancora) di posti auto per i residenti e di parcheggi per i visitatori e che la realizzazione del parcheggio in project financing risultava realisticamente possibile sono garantendo un numero adeguato di posti auto da immettere sul mercato da parte del gestore (privato) che si è accollato l'investimento (e che "rientra" appunto tramite le entrate di gestione). Dunque ci sono circa 300 posti auto a disposizione di residenti e visitatori (+200 circa rispetto a prima). Plausibile ritenere che una minore dotazione non avrebbe resa l'operazione interessante per il privato (consideriamo che si è trattato del primo parcheggio interrato realizzato in project financing in provincia di Modena, un parcheggio realizzato in una città - Vignola - di 23mila abitanti: il 7° comune della provincia per abitanti); (3) che il finanziamento delle opere pubbliche è una versa sfida per gli enti locali, vista la scarsità di finanziamenti statali (in un paese che, avendo il debito pubblico più alto d'Europa, spende ogni anno cifre considerevoli per gli interessi sul debito!) e dunque la cosiddetta "finanza di progetto" costituisce oggi un'opportunità interessante. Inoltre (punto 4) occorre considerare che l'attuale soluzione potrà essere rivista in futuro, magari liberando la superficie dalle auto una volta che l'entrata in funzione della Pedemontana avrà ridotto la morsa del traffico di attraversamento su Vignola. Se si considerano tutti questi elementi assieme difficile non maturare il dubbio che l'operazione non abbia anche oggi un valore positivo. A me sembra comunque che le cose stiano così.

lunedì 10 dicembre 2007

E' tempo di fare un bilancio!


Giovedì 6 dicembre alle ore 20.30, in Consiglio Comunale, il Sindaco Roberto Adani ha presentato la relazione programmatica di accompagnamento al Bilancio di Previsione per l'anno 2008. E' stata l'occasione non solo per presentare i progetti dell'Amministrazione Comunale di Vignola per l'anno 2008, ma anche per ripercorrere le cose fatte ed i progetti messi in cantiere nel corso del mandato del Sindaco, iniziato con le elezioni amministrative del 1999. E' stata una relazione di alto livello, che merita un'analisi, una riflessione ed una risposta anch'essa di alto livello (la discussione è prevista nel prossimo consiglio comunale, il 20 dicembre alle 18.30), magari anche con una lettura "simpatetica" ma non priva di analisi critica. Ad oggi, passati 8 anni e mezzo, il profilo dell' "amministrazione Adani" si caratterizza soprattutto per le cose fatte nella trasformazione della città e nella sua "modernizzazione", ma anche nella trasformazione dell'amministrazione stessa: grande rafforzamento dell'amministrazione comunale in termini di professionalità ed organizzazione, ma soprattutto istituzione dell'Unione Terre di Castelli (una delle più grandi d'Italia e certamente la più importante per i servizi che gestisce: scuola, sociale, personale, CED, sportello unico per le imprese, pianificazione territoriale). Occorre tornare con la mente alla Vignola del 1999 per comprendere la portata delle trasformazioni intervenute: allora non c'era la Tenenza dei Carabinieri, non c'era il distaccamento dei Vigili del Fuoco, mancava la nuova Biblioteca, non c'era l'Asilo Nido "Cappuccetto Rosso" e la scuola dell'infanzia "Mago di Oz", non c'erano le rotatorie a fluidificare il traffico, non c'era la Pedemontana (aprirà entro il 2008) e la ferrovia Vignola-Bologna, non c'era il Parcheggio interrato di Piazza Corso Italia, non c'era il nuovo Teatro Ariston (ancora qualche mese ed il cantiere sarà terminato), la sistemazione delle vie e dei portici del Centro Storico (ci sarà un altro stralcio nel 2008) era ancora nel libro dei sogni ... e tanto altro ancora. Tutto perfetto dunque? No di certo. Sono convinto che l'amministrazione Adani abbia operato bene, con risultati nel complesso al di sopra della media di amministrazioni confrontabili (a volte molto al di sopra della media). Non si deve temere una valutazione oggettiva, anche che evidenzi i progetti rimasti incompiuti o gli obiettivi non colti (a volte magari neppure perseguiti). Anzi, una lettura "critica" di questi anni è una cosa che deve interessare in primo luogo chi sta in maggioranza. Le sfide del futuro diventeranno ancora più impegnative (innanzitutto la competizione tra territori) e dunque è saggio cercare di apprendere da questa esperienza. Ne saremo capaci? C'è qualcuno che vuole iniziare ad abbozzare un bilancio? Io ci proverò nel mio intervento in Consiglio Comunale il 20 dicembre. Ma chi già vuole iniziare a dire la sua ...